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Scopri gli effetti che i solfiti presenti nel vino hanno sul nostro organismo

Sempre più italiani negli ultimi anni si stanno avvicinando al mondo del vino e tra degustazioni, corsi per sommelier e fiere tematiche sparse per tutta Italia la richiesta sale in modo esponenziale.

Anche perché l’Italia è uno dei massimi produttori di vini d’eccellenza che ogni anno vengono esportati in tutto il mondo. La ricca offerta ci permette quindi di comprare anche delle ottime etichette, per lo più di case vinicole poco conosciute, a dei prezzi veramente bassi. Spesso basta fare un salto nei gradi ipermercati per trovare in offerta delle bottiglie di vino dal valore di oltre 15 euro a prezzi inferiori ai 5 euro.

Proprio questo consumo di massa porta sempre più spesso molti consumatori a chiedersi se i solfiti nel vino fanno bene o sono pericolosi.

La risposta sta nella chimica e nelle percentuali presenti in ogni bottiglia. Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire come mai i solfiti vengono utilizzati in enologia e se veramente sono pericolosi oppure no.

Quando leggiamo su un’etichetta la dicitura “contiene solfiti” vuol dire che nel vino è stata aggiunta l’anidride solforosa, cosa che in natura non esiste, ma che è stata introdotta dall’uomo utilizzando ceppi di lieviti naturalmente presenti nel mosto.

A tutti gli effetti possiamo tranquillamente dire che i solfiti possono essere considerati come un sottoprodotto naturale del vino, e proprio perché di lieviti si tratta la selezione a monte di quest’ultimi è fondamentale per migliorare il processo di fermentazione e soprattutto per evitare di compromettere la stabilità del vino nonché alterare la sua struttura organolettica.

Ma perché si usano i solfiti se nel vino non sono presenti? L’utilizzo dell’anidride solforosa nel processo di vinificazione è importante perché migliora la fermentazione agendo come “scudo protettivo” andando a limitare la produzione di elementi negativi, ed è per questo motivo che viene utilizzata a partire dal mosto fino alla fase finale dell’imbottigliamento.

L’azione chimica che si istaura va ad agire sia direttamente sul vino che rimanendo libera (non combinata), ed è proprio questa parte combinata che va ad agire a compensazione nel momento del travaso o nel caso in cui se ne disperda liberamente oppure nel caso in cui il vino vada a contatto con l’ossigeno. È quindi la somma della quantità combinata a quella presente che determina la quantità di anidride solforosa totale.

Se da una parte come dicevamo i solfiti ricoprono un ruolo importante (antisettico, antibiotico, antiossidante) la molecola chimica che lo caratterizza (la SO2) è di accertata tossicità e può scatenare anche crisi allergiche; ecco perché è sempre obbligatorio indicare la presenza nelle etichette. I soggetti predisposti dovrebbero preventivamente leggere tutte le etichette, anche perché i solfiti possono essere presenti anche nelle marmellate, nella frutta secca nei salumi e in molti altri alimenti.

Il consiglio che diamo è sempre quello di non assumere più di 0,7 mg al giorno per chilogrammo di peso, quindi se una persona pesa 60 Kg non si dovrebbero assumere più di 40 mg circa nell’arco dell’intera giornata. Ricordiamoci però la cosa principale, ossia che la dose sopra indicata vale per l’uso cumulativo di tutti i prodotti che assumiamo quotidianamente e non solo bevendo un bicchiere di vino.

Altra cosa da sapere assolutamente e che non tutti sanno è che sulle etichette è possibile apporre la dicitura “non contiene solfiti” se la concentrazione totale di questi è inferiore ai 10 mg/l.

Quindi onde evitare spiacevoli effetti collaterali consigliamo sempre di far respirare il vino abbondantemente, anche semplicemente facendo roteare il calice, perché questo semplice movimento permetterà di far evaporare dal 30 al 40% dell’anidride solforosa libera contenuta nel bicchiere.

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